Presentazione

 

(Raffaele Camposano,

Direttore Museo e Ufficio Storico

della Polizia di Stato)

 

Nel non variegato numero di pubblicazioni sulla Polizia italiana, il saggio di Giulio Quintavalli è senz’altro una novità non di poco conto.

L’Autore, che ha alle spalle una lunga e proficua esperienza all’Ufficio Storico della Polizia di Stato e un cursus studiorum di tutto rispetto, concentra la sua analisi sulle importanti trasformazioni che hanno caratterizzato le funzioni di polizia dall’Italia liberale alla Grande Guerra, non sufficientemente approfondite, finora, dalla storiografica contemporanea.La ricerca, sostenuta da un ponderoso e articolato apparato archivistico, bibliografico e iconografico, evidenzia i caratteri dell’originalità, qualificandosi, di fatto, come un vero work in progress, al quale l’Autore [...] ha consacrato buona parte degli ultimi anni con la meticolosità e la metodicità che contraddistinguono il suo inconfondibile stile di “investigatore storico”. Nel racconto appassionato e coinvolgente, si coglie soprattutto l’ansia di cambiamento e di riforma che attraversò la Polizia di fine Ottocento, percepita come ineludibile dai vertici più illuminati dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza per assicurare alle funzioni di polizia, sia preventive che repressive, le necessarie trasformazioni, sul piano dell’efficienza e dell’operatività, richieste dalle mutate strategie dell’ordine e della sicurezza pubblico, a seguito del passaggio, non agevole, dall’Ancien Régime allo Stato liberale.

 

A dare forza e sostanza a questa legittima aspirazione di una delle più strategiche e delicate Istituzioni del Regno d’Italia, da poco costituito, furono gli innovativi e, per certi versi, rivoluzionari apporti all’attività investigativa offerti dalla “Nuova Scienza”, come fu definita la nascente Criminalistica o Polizia Scientifica, che in Salvatore Ottolenghi e Cesare Ezechia Lombroso, padre fondatore dell’Antropologia Criminale, vedeva i suoi più autorevoli maestri.

 

Basare le funzioni di polizia ed in particolare la detection all’obiettività e al metodo scientifico per comprendere, analizzare e efficacemente prevenire o contrastare il “crimine”, considerato alla pari di un qualsiasi altro fenomeno naturale, divenne la chiave di volta per sostenere il cambiamento auspicato della Polizia, che, però, avrebbe richiesto inevitabilmente un cambiamento sostanziale di modelli operativi e organizzativi e soprattutto di mentalità.

 

Cosa più facile a dirsi che a praticarsi, in quanto le contingenti vicende storiche sociali ed economiche, collegate al processo di unificazione nazionale, impedirono di realizzare tutto ciò in maniera concreta e efficace.

 

Si dovette procedere così, per decenni, a fasi alterne, condizionate dall’ondivago e sovente contraddittorio agire della politica che, seppure convinta dell’utilità della modernizzazione della Polizia per arginare i nuovi fenomeni delinquenziali e quelli più minacciosi di matrice anarchica, poco e male fece per corrispondere con riforme veramente efficaci, e non solo di facciata o parziali, alla trasformazione in senso moderno della Polizia.

  

L’introduzione dei nuovi “saperi” nell’attività di polizia, così come ben lumeggiato dall’Autore, a dispetto delle cautele e tatticismi della politica e delle immancabili resistenze dell’apparato burocratico, finì col generare un lento ma crescente percorso di cambiamento verso la “professionalizzazione” delle funzioni di polizia che si accompagnavano, di pari passo, alle legittime rivendicazioni del personale di polizia ai miglioramenti stipendiali e previdenziali, alle migliori condizioni di vita nelle caserme e negli uffici che, se accolte, avrebbero contribuito ad elevare il decoro della funzioni esercitate e la pubblica considerazione verso la tanto bistrattata immagine di “sbirro”.

 

Con la Grande Guerra, le nuove insidie legate al “nemico interno” portarono alla riorganizzazione dei servizi civili di intelligence, dando un’ulteriore spinta alla “specializzazione” delle funzioni di “polizia politica”, disimpegnate, fino a quel momento, in maniera non troppo efficace, sia a livello centrale che periferico.

 

Nel primo Dopoguerra, l’esperienza proficua dell’Ufficio Centrale Investigativo (UCI), diretto da Giovanni Gasti e quella dell’Ufficio Centrale per la repressione dell’abigeato in Sicilia, diretto da Augusto Battioni (entrambi tra i più capaci funzionari di polizia), servì da modello al Governo Nitti, nella mutata temperie storica, chiamata ad arginare nuove emergenze per l’ordine e la sicurezza pubblica, per riformare la Polizia con la creazione del “Corpo degli Agenti d’investigazione” (1919), destinati all’attività di polizia giudiziaria e di investigazione e formati appositamente per il disimpegno dei servizi tecnici di polizia.

  

Un bel salto di qualità per i poliziotti che contribuirà ad elevarne il senso di appartenenza e ad orientare le loro future istanze di rappresentatività in organismi di categoria!

 

La soppressione del predetto Corpo della Polizia di Stato, avvenuta nel dicembre del 1922, non comporterà, tuttavia, l’abbandono di questa vocazione alla “professionalizzazione”, così faticosamente raggiunta.

 

Nel Secondo Dopoguerra, le necessità connesse alla ricostruzione del nostro Paese, imporranno di riprendere il percorso di rinnovamento della Polizia, interrotto nel 1922, che sarà, più che mai, evidente nella Legge 121 del I aprile 1981, n° 121, sul nuovo Ordinamento dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza che riconoscerà la specificità dei Ruoli della Polizia di Stato esaltando, in particolare la funzione investigativa, con l’istituzione del Ruolo Ispettori.

 

Ciò che il Prof. Salvatore Ottolenghi aveva auspicato si sta, pertanto, avverando nel senso che tutte le funzioni che oggi caratterizzano la Polizia non potranno prescindere dalla formazione e dall’aggiornamento costante del suo personale che, con l’ausilio dei progressi avvenuti in campo scientifico e tecnologico, gli consentiranno di corrispondere, sempre meglio, alle mutate strategie di contrasto al crimine non soltanto nazionale.

 

Idealmente quel processo di profonde trasformazioni che ha contrassegnato la Polizia di Stato dalla seconda metà dell’Ottocento ad oggi e che ha fatto dello sbirro un “investigatore”, può dirsi concluso ma c’è ancora tanta strada da percorrere per essere pienamente all’altezza della nobile missione di poliziotto.