Storia di una fotografia.

Il volto ritrovato

(Giulio Quintavalli)

 

 

Chiunque si approccia con ragionevolezza e umiltà al fare storico non può che ammiccare a un’opinione condivisa dai più che lo frequentano: il ricercatore deve possedere tre doti: intuito da investigatore, caparbietà, fortuna.

 

La prima “dote” richiama il latino in e vestígium ed intende: seguire l’orma, esaminare con cura tracce e indizi, cercare diligentemente.

Elemento che, vi assicuro, deve essere particolarmente accentuato in ragione delle difficoltà di fruibilità e consultabilità della documentazione prodotta dall’Amministrazione di Pubblica Scurezza, riferibile in particolare al personale del Corpo delle Guardie di città in cui militò Michele Bongiovanni, assassinato a Palermo nel 1908, oggetto di questo breve.

Difficoltà che costringe il ricercatore a percorrere vari indizi e a battere tutte le piste per cercare nuove fonti.

 

La seconda ”dote” è insita alle difficoltà di tali ricerche, e ve ne darò prova.

Le tante ore di ricerca passate anni orsono nei polverosi archivi seminterrati del Viminale per costruire l’Albo d’oro dei Caduti – poi confluite nel Sacrario della Polizia di Stato – rimasero inevase nella parte relativa ai fascicoli di agenti caduti in servizio antecedentemente a metà Anni Venti del Novecento.

 

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