La polizia politica in Età liberale 

 (Giulio Quintavalli)

 

Premessa:

 

Questo breve contributo intende sintetizzare il personale articolo in Tuttostoria.net, a sua volta ragionato dalle prime pagine di Da sbirro a investigatore, volume a cui si rimanda per una più completa trattazione dell’argomento.

 

«Alla materia politica si ascrivono le mire ed azioni dei cittadini e classi di cittadini, dirette ad abbattere la forma del governo esistente, e soprattutto le congiure delle fazioni politiche, che si ordiscono e maturano all'ombra del diritto di associazione e di riunione» annotava nel Della polizia Pietro Celli, dato alle stampe nel 1880 e prezioso studio per chi si approccia alla storia dell’investigazione e del “mondo polizia”. 

 

Mission della polizia politica consisteva nel tutelare le libertà statuali conquistate con lo Statuto  Albertino e che individuano nei diritti politici il principio giuridico dell’inedito rapporto tra governanti e governati.

 

Ma le testimonianze del tempo - di uomini politici dalle alterne vicende segnate da incarichi di governo e da militanza nell’opposizione, come  di noti socialisti e anarchici - e i recenti studi tratteggiano una realtà ben diversa. 

 

Le squadre politiche degli Uffici di Pubblica Sicurezza, pressate dai diktat del Ministero dell’interno e dei prefetti, nei fatti costituivano uno strumento che condizionava quelle libertà poiché piegate a barare al tavolo della competizione politica per cambiare le carte da giuoco in mano ai contendenti.

 

L’asso inatteso riservatamente estratto dalla manica consisteva nei metodi spregiudicati della polizia politica, chiamata a colpire le voci più critiche delle elite liberali e di governo.

 

Una carta da gioco che azzerava il confronto delle menti più illuminate e riformiste con il corpo elettorale e con l’avversario politico, che riteneva quelle stesse voci una sfida alle proprie posizioni di potere, una pericolosa diffusione di idee sovversive, e finanche una minaccia per l’incolumità fisica delle personalità di governo e dei sovrani.

 

Una sfida a socialisti e anarchici praticata a colpi di censura della stampa, di sequestri di quotidiani, di illegali intercettazioni telegrafiche e telefoniche, di apertura segreta della corrispondenza, di pedinamenti e di infiltrati nelle loro organizzazioni. 

 

Come anche di processi pilotati dai verdetti scontati, dove le attività investigative, svincolate da ogni limite e ben protette dall'alto,  degeneravano  in abusi e illegalità.

 

Ciò nonostante quei processi potevano concludersi con un buco nell’acqua o, peggio, con l’invito a salire sul banco degli imputati rivolto a quegli stessi questurini e ai loro metodi violenti, ripresi nelle prime pagine delle testate che i medesimi solitamente sequestravano.

 

Un’inversione delle parti tra accusato e accusatore che imbarazzava le autorità, che temevano il movimento anarchico, reo del fallito attentato alla vita di re Umberto I - il primo nella storia della dinastia Savoia - per mano del sodale Giovanni Passannante, due anni prima il volume del citato Celli, nel 1878.

 

L’anarchismo spronava le squadre della polizia politica alle prese con un fenomeno impavido e intraprendente posto in essere da personalità dalle doti intellettuali e organizzative di spicco animate da solide motivazioni, pronte a sfidare la repressione della legge.

 Cartolina postale, 1905 circa (autore van dock)
Cartolina postale, 1905 circa (autore van dock)

Tanto che nel 1894 Cesare Lombroso nel saggio Gli anarchici lo laureava ad autonoma tipologia di criminale in ragione del particolare fondamento fisiologico dei postulanti, oltre che morale e politico, delle concezioni sostenute, che avevano e stavano facendo discutere la società borghese di fine Ottocento ed avevano pochi mesi prima guidato la mano omicida dell’italiano Sante Caserio sul presidente francese Sadi Carnot. 

 

L'immagine richiama gli ordini dei prefetti alla forza pubblica per soffocare i tentativi di sovversione e la lotta tra classi sociali, che i due zelanti poliziotti con il carabiniere interpretano  sullo scolaretto, colpevole di  essere acceduto in una classe  non sua. L'illustratore ha enfatizzato l'aspetto repressivo della legge attraverso i volti sfigurati degli agenti dell'ordine, raffigurati in uniforme festiva e da parata.

 

Volendo considerare la polizia politica da uno sguardo interno, dalla sua organizzazione e dalle sue prassi e non dal punto di vista delle vittime (punto vista piuttosto inconsueto) risulta evidente che la particolare delicatezza del servizio richiedeva abili funzionari di Pubblica Sicurezza con dipendenti capaci guardie

Ma, come per l’investigazione giudiziaria, anche in questo campo l’efficacia delle squadre era minata sia dalla pessima istruzione scolastica sia dalla provenienza geografica, inevitabilmente meridionale. 

 

Circostanze che impedivano ai responsabili del servizio di infiltrare proprie guardie di Pubblica Sicurezza nei luoghi dove i movimenti e corpi politici attenzionati (sedi di sodalizi, circoli e associazioni, di giornali..) raccoglievano informazioni ed elaboravano decisioni, prevalentemente nelle dinamiche città industriali e operaie del Nord.

 

Per tali ragioni - riferisce Celli - «la polizia politica talvolta si vale di agenti segreti», informatori e confidenti: gole profonde addentrate in quegli ambienti ostili ricompensate con i fondi segreti delle questure designati da Palazzo Braschi.

 

Sulla limita disponibilità di questi fondi e sul relativo impiego non sempre mirato - altro ostacolo all’azione delle squadre politiche - riprendiamo la testimonianza del 1922 di Emilio Saracini, ispettore generale di P.S. dalla lunga e brillante carriera che, dopo aver lasciato la Direzione Generale di P.S. (aveva sede nel Palazzo), da poco in pensione, decideva di consacrare le sue ultime energie alla Polizia del Regno.

Foto tratta da "Da sbirro a investigatore"
Foto tratta da "Da sbirro a investigatore"

Un delegato di Pubblica Sicurezza con alcuni carabinieri e una guardia di città  (a destra) ritratti in occasione di uno sciopero.

I primi del 900 vedono numerosi scioperi e manifestazioni .

 

L’autore de I crepuscoli della Polizia - altra opera indispensabile per gli studi storici di settore - chiosava: «salvo qualche eccezione, [i fondi] sono dai prefetti o dai questori, in sostanza, considerati come soprassoldi personali in aumento allo stipendio».

 

Ulteriori riflessioni sui «famosi fondi segreti» sono tratte dall’autobiografia di Vittorio Emanuele Orlando (ministro dell’interno di Boselli e, dall’ottobre 1917, anche capo del governo).

In Memorie - volume generoso di spunti e riflessioni anche per tema disaminato - annotava che «normalmente messi a disposizione del ministro dell’Interno erano di un milione, la quale cifra, per sé stessa certamente non rilevante, era disponibile soltanto per una parte che superava di poco la metà; il resto era rappresentato dalle spese di gabinetto e da alcune pensioni o assegni di benemerenze a patrioti bisognosi o alle loro vedove ecc …».

 

I fondi costituivano una pratica informale di polizia investigativa che solleva quesiti sui beneficiari.  In tal senso chi scrive si è rivolto all’Archivio Centrale di Stato di Roma, che conserva una copiosa documentazione [...] tra i beneficiari delle somme, normativamente indicati “agente investigativo” (da non confondere con il Corpo degli agenti di investigazione, istituito nell’agosto 1919 «per il servizio della prevenzione e della repressione dei reati e per la ricerca dei delinquenti» (R. d. 14 agosto 1919, n° 1442) sono indicati con i dati anagrafici, la professione esercitata e l’importo mensile versato dalla questura [...]  Tra loro molti operai e tecnici di enti concessionari dei servizi pubblici (tramviario, ferroviario, telegrafico e telefonico, postale …), maestranze portuali e di industrie, tipografi, studenti, giornalisti, insegnanti, commercianti.

 

Prevalentemente uomini che andavano a distendere nel tessuto sociale delle località più calde un occhio invisibile con cui monitorare il sovversivismo.

(per Tuttostoria.net)